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Dalle Fake News al FAKE NEW. Se è il “nuovo” ad essere fake. Danzando su una U. Lettura 2’

Dalle Fake News al FAKE NEW. Se è il “nuovo” ad essere fake. Danzando su una U. Lettura 2’

Rino Panetti

Gennaio 12th, 2019

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Le fake news è ormai un tema quotidiano di discussione. Tanto noto che non si sente più il bisogno neanche di tradurre le due parole. Come “computer”, ad esempio.
Ma c’è un altro tema, oggi altrettanto sbandierato: “il nuovo” (new).
Il nuovo come sinonimo di cambiamento e, questo, come sinonimo (impropriamente sottinteso) di miglioramento.
Eppure, siamo sicuri che tutto questo “nuovo” di cui oggi si dibatte, promette, vive, non sia in realtà ”fake” anch’esso?
Non mi riferisco al mondo politico in particolare, tutt’altro: quanto sto per condividere ha validità anche per Organizzazioni, team, ciascuno di noi.
Il punto è che quando parliamo di “nuovo” (o di cambiamento) dobbiamo comprendere a quale “nuovo” (o cambiamento) ci stiamo riferendo.
Se il nuovo è reagire a eventi singoli, attuando solo rapide correzioni, siamo di fronte probabilmente a un “fake new”…e se poi spacciamo queste azioni come “nuovo”, siamo di fronte anche a una “fake news”.
Ma anche quando sembriamo “proattivi”, quando con buona volontà “ci prendiamo carico dei problemi”… se questa “proattività” è usata solo per “combattere il nemico lì fuori” e mai per scendere a scoprire le relazioni sistemiche e i modelli mentali che generano quei problemi, ancora una volta siamo probabilmente di fronte a un “fake new”.

Proviamo ad essere più precisi, sull’argomento.
Esistono quattro distinti livelli di cambiamento. Eccoli, dal più superficiale al più profondo (la descrizione segue l’approccio “Theory U” di Otto Scharmer):

Ora, attenzione: non c’è di per sé un livello migliore dell’altro; tutto dipende dal livello di “nuovo/cambiamento” necessario in un determinato momento. E’ chiaro che se ad esempio una nave sta affondando, la reazione è il miglior tipo di cambiamento, almeno nell’immediato.
Per classificare quindi come “fake” il nuovo, occorre confrontarlo con le aspettative (e le promesse) che girano intorno a quel “nuovo”.
Così, vivendo in un’epoca in cui tutti avvertono la necessità di cambiamenti profondi in diversi ambiti, se si continua poi alla fine a reagire (o anche a riprogettare) senza mai scendere ai livelli di relazioni sistemiche e modelli mentali che generano gli eventi oggetto del nostro intervento, il rischio di essere in presenza di un Fake New è elevato.
Il Fake New si riconosce, perché ha dei pattern che si ripetono pressoché puntuali. Eccone alcuni:

  • All’inizio le cose sembrano andar meglio…per poi finire a un livello ancora più basso di quello di partenza.
  • Si avverte un senso di impotenza: ce l’abbiamo messa tutta, abbiamo fatto il massimo, eppure sembra che più spingi, più il sistema ti spinge contro.
  • La “colpa” degli effetti indesiderati del Fake New sono sempre cercate fuori da noi e dalla nostra sfera di azione: è la sindrome de “il nemico è lì fuori”: il compagno/a, il contesto esterno, l’opposizione, i cinesi, …
  • Si autoalimenta: se non si è capaci di interrompere questa spirale, ci si continuerà a muovere di Fake New in Fake New, in un crescendo sempre più avvilente eppure in apparenza indispensabile (invece, occorrerebbe interrompere i soliti schemi e interrogarsi sulle relazioni sistemiche e i modelli mentali sottostanti il problema)
  • Si alimenta della conoscenza all’interno del Sistema: così, si prova a generare il “nuovo” con lo stesso bagaglio di approcci che ci ha rigettato nel problema.

Ecco un estratto di un caso che riporto nel mio libro “Theory U, Learning Organizations e Design Thinking. Strategie, strumenti e tecniche per l’innovazione profonda” (FrancoAngeli, 2017):   

Un’azienda italiana di medie dimensioni avviò un progetto di riesame critico delle difficoltà che stava incontrando, in particolare nell’area sicurezza (sia dei dipendenti sia dei clienti, aspetto critico per quel tipo di realtà). “Dobbiamo cambiare” fu il messaggio chiaro e deciso del consiglio d’amministrazione.
Dopo tre riunioni tra i responsabili delle aree coinvolte dal progetto e il consulente, ecco in questo riquadro i risultati (il riquadro è l’esatta riproduzione della flip chart finale prodotta dal quel team):

  • Problemi:
    – Il sistema non garantisce il miglioramento continuo
    – Non sono chiari gli obiettivi
    – E’ carente la pianificazione…
    – …e manca conseguentemente il riesame
    – La struttura non appare coerente.

  • Soluzioni:
    – Emanare una policy più efficace, diffusa e condivisa
    – Riorganizzare la struttura (ad esempio, Manager Safety in staff) in modo da garantire pianificazione e riesame

Alcune riflessioni su questo caso:

  • Vi piacciono i risultati (voce “soluzioni”) di quel progetto? Non è ciò che accade spesso, quando si parla di cambiamento nelle organizzazioni? Riemettere la policy e tenere qualche riunione per diffonderla, insieme a qualche bel poster e slogan da affiggere sui muri; contemporaneamente ristrutturare, riorganizzare i processi e l’organigramma. In sostanza, limitarsi a intervenire sui primi due livelli sopra delineati.
  • Sapete come è finito quel progetto? A distanza di un anno si è tornati al punto di partenza…ulteriormente aggravato. …
  • ….”.

Rischiamo di continuare a vivere le nostre vite, quelle delle nostre Organizzazioni e di collettività più ampie spostandoci da un fake new all’altro, liberandoci per un attimo della morsa delle pedine del domino che incombono sopra di noi… un piccolo respiro, per poi tornare ad essere colpiti violentemente…

Rino Panetti

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